La giornata della memoria ci richiama al dovere assoluto del ricordo non rituale, non formale, non estrinseco, al dovere del farsi intimi alla Shoah, all’esperienza sconvolgente del male assoluto, al limite della possibilità stessa di pensarla senza sentirsi morire, che ha annientato 6 milioni di ebrei e deve accompagnare stabilmente le nostre vite, perché è stata un attentato alla vita in quanto tale.
Il “mai più” che allora risuonò, universale, di fronte all’olocausto, come difronte alla guerra ed all’autodistruzione nucleare dell’umanità non ha avuto l’esito che quell’impegno assoluto, come il male che intendeva estirpare, proclamato di fronte al mondo avrebbe perentoriamente meritato.
L’attentato alla vita continua in altre forme: dalla strage dei migranti, ai genocidi in corso nel mondo, alla “guerra mondiale a pezzi”, nella definizione di Papa Francesco, alla distruzione delle specie viventi e delle biodiversità 10.000 volte superiore, su base annua, alla naturale distruzione prima della comparsa dell’uomo sulla terra. Quasi che l’umanità fosse dominata da un’inestinguibile “cupio dissolvi” che distrugge, a un tempo, se stessa e le condizioni stesse della sua sopravvivenza. La pandemia, che non è un meteorite che ha colpito la terra ed ha molto a che fare con un modello di economia e di società socialmente ed ambientalmente insostenibile, ne rappresenta il segno più recente.
Per queste semplici ragioni ricordare l’eroismo, le sofferenze infinite e l’annientamento dell’olocausto significa restituire alla vita, finché avremo voce e forze, il suo valore infinito , poiché in ogni sua forma, in ogni suo anfratto c’è il segno immanente del divino.

Giuseppe Gallo
Presidente Fondazione Ezio Tarantelli

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